La questione della nullità delle fideiussioni risale all’ottobre del 2002, e precisamente nel momento in cui l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) concordava con alcune associazioni dei consumatori uno schema di contratto di fideiussione omnibus a garanzia di operazioni bancarie.
Il modello di fideiussione introduceva deroghe peggiorative per il fideiussore rispetto alle norme del codice civile (articoli 1936 e seguenti).
Tra le clausole peggiorative si rinviene la clausola di rinuncia ai termini previsti dall’art. 1957 c.c. per cui il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia diligentemente continuate. La disposizione si applica anche al caso in cui il fideiussore ha espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell’obbligazione principale. In questo caso l’istanza contro il debitore deve essere proposta entro due mesi.
Diversamente da quanto sopra, la clausola inserita nel modello proposto dall’ABI stabiliva che i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i termini previsti, a seconda dei casi dall’art. 1957 c.c. che si intende derogato.
Quindi, applicandosi la clausola ABI, la Banca non doveva escutere previamente il debitore per poter poi agire nei confronti del fideiussore.
Lo schema ABI introduceva altre due clausole controverse, e segnatamente la clausola di cd. reviviscenza della fideiussione e la clausola di cd. sopravvivenza della fideiussione.
In forza della clausola di sopravvivenza, qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate. Ciò integra una deroga rispetto alla norma di cui agli artt. 1939 e 1945 c.c., attenuando il carattere di accessorietà della garanzia, stante che applicandosi la norma del codice civile, l’invalidità dell’obbligazione garantita deve estendersi alla garanzia fideiussoria.
In sintesi, le tre clausole elaborate dall’ABI, in deroga a quanto disciplinato dal codice civile, trasferivano sul garante le conseguenze dell’inerzia dell’istituto di credito nell’attivarsi per il recupero del credito vantato ed essendo state applicate uniformemente sull’intero territorio nazionale hanno determinato una concreta restrizione della concorrenza, che costituisce una violazione dell’art. 2 della legge 10.10.1990 n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato).
Quanto sopra è stato accertato dalla Banca d’Italia con provvedimento n. 55 del 2.05.2005, conformemente a quanto ritenuto anche dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con provvedimento n. 14251 del 20.04.2005.
In seguito a detto provvedimento, il contenzioso sulla validità delle fideiussioni contenute nei moduli sottoscritti dai clienti delle Banche si è moltiplicato, in quanto, spesso, l’unica possibilità per la Banca per recuperare il proprio credito, a fronte del fallimento o dell’incapienza del debitore principale, è quello di agire nei confronti dei fideiussori.
Ci si è quindi chiesti se la nullità dell’intesa tra i vari istituti di credito, volta ad imporre – di fatto unilateralmente – al cliente un modello peggiorativo rispetto alle norme del codice civile, si trasmettesse automaticamente a tutti i contratti stipulati dalle Banche che riproducono le clausole sanzionate o, se, viceversa, dette clausole/fideiussioni fossero solo parzialmente invalide.
Secondo un primo, restrittivo, orientamento giurisprudenziale, la normativa antitrust, essendo è volta a favorire il libero mercato, non tutelerebbe direttamente gli interessi individuali, sicché il fideiussore non potrebbe agire in giudizio, deducendo la violazione del diritto antitrust, per far valere il diritto al risarcimento del danno.
Con una successiva pronuncia a Sezioni Unite del 2005, intervenendo sul caso di un aumento dei premi assicurativi per effetto di un’intesa anticoncorrenziale, la Corte di Cassazione, mutando il proprio orientamento, ha sancito che “il contratto cosiddetto “a valle” costituisce lo sbocco della intesa, essenziale a realizzarne gli effetti. Esso in realtà, oltre ad estrinsecarla, la attua. Dunque innanzi alla Corte d’appello deve essere allegata un’intesa di cui si chiede la dichiarazione di nullità, ed altresì il suo effetto pregiudizievole, il quale rappresenta l’interesse ad agire dell’attore secondo i principi del processo, da togliere attraverso il risarcimento”.
In seguito, con altre pronunce del Supremo Collegio, si è rafforzato l’orientamento per cui la nullità dell’intesa anticoncorrenziale a monte si trasferisce anche alle fideiussioni “a valle”, stipulati dalle Banche con il cliente finale.
In tal senso, chiaro ed inequivocabile è il principio sancito dalla sentenza della Cassazione civile n. 13846 del 22.05.2019 che, in un passaggio fondamentale, sancisce: “Quel che assume rilievo, ai fini della predicata inefficacia delle clausole del contratto di fideiussione di cui agli artt. 2, 6 e 8, è, all’evidenza, il fatto che esse costituiscano lo sbocco dell’intesa vietata, e cioè che attraverso dette disposizioni si siano attuati gli effetti di quella condotta illecita, come rilevato dalla cit. Cass. Sez. U. 4 febbraio 2005, n. 2207 (cfr. in tema anche Cass. 12 dicembre 2017, n. 29810, secondo cui ai fini dell’illecito concorrenziale di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 2, rilevano tutti i contratti che costituiscano applicazione di intese illecite, anche se conclusi in epoca anteriore all’accertamento della loro illiceità da parte dell’autorità indipendente preposta alla regolazione di quel mercato)”.
In tale sentenza, si sottolinea la complementarietà tra le tutela pubblicistica e tutela privatistica, nonché il fatto che entrambe le discipline devono attuare il principio di effettività, per cui una volta accertata l’intesa anticoncorrenziale, ciò costituisce una prova privilegiata del danno a valle lamentato dal consumatore, in quanto il pregiudizio dell’intesa a monte si traduce e si concretizza in una serie di specifici danni subiti nelle singole contrattazioni.
Permanendo un contrasto in ordine a diverse questioni, tra cui anche riguardo al problema dell’estensione della nullità all’intero contratto a valle (in tal senso Cass. Civ. 10.03.2021, n. 6523), o solo alle clausole oggetto del provvedimento n. 55 della Banca d’Italia, nel 2021, la Corte di Cassazione con ordinanza interlocutoria n. 11486 del 30.04.2021 ha chiesto la pronuncia a Sezioni Unite, per stabilire:
a) se la coincidenza totale o parziale con le predette condizioni giustifichi la dichiarazione di nullità delle clausole accettate dal fideiussore o legittimi esclusivamente l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno,
b) nel primo caso, quale sia il regime applicabile all’azione di nullità, sotto il profilo della tipologia del vizio e della legittimazione a farlo valere,
c) se sia ammissibile una dichiarazione di nullità parziale della fideiussione,
d) se l’indagine a tal fine richiesta debba avere ad oggetto, oltre alla predetta coincidenza, la potenziale volontà delle parti di prestare ugualmente il proprio consenso al rilascio della garanzia, ovvero l’esclusione di un mutamento dell’assetto d’interessi derivante dal contratto.
Si giunge così alla sentenza della Cassazione civile a Sezioni Unite del 30.12.2021 n. 41994, con la quale, ripercorrendo tutti gli orientamenti espressi dalle sezioni semplici, il Supremo Collegio sancisce che la nullità parziale delle clausole restrittive della concorrenza sia la “forma di tutela più adeguata allo scopo, consentendo di assicurare anche il rispetto degli altri interessi coinvolti nella vicenda, segnatamente quello degli istituti di credito a mantenere in vita la garanzia fideiussoria, espunte le clausole contrattuali illecite”.
Il pronunciamento del 30.12.2021 costituisce così un punto fermo riguardo all’invalidità delle sole clausole oggetto del provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia ma, ciò nonostante, lascia aperti numerosi interrogativi riguardo all’automaticità dell’effetto caducatorio sul contratto a valle ispirato al principio di simmetria per cui caduto l’atto a monte debba cadere anche quello a valle.
Venendo ora al tema delle fideiussioni specifiche che contengono clausole identiche a quelle oggetto di provvedimento sanzionatorio da parte della Banca d’Italia, si assiste spesso a cause incardinate esclusivamente sul presupposto di poter far valere detto provvedimento anche in questi giudizi.
Tale approccio, riduttivo e semplicistico, risulta perdente, posto che, in questo caso, le Corti di merito, fatta salva qualche iniziale pronuncia favorevole (Trib. Matera 06.07.2020; Trib. Prato 16.01.2021), hanno poi mutato orientamento, sancendo l’impossibilità di utilizzare, per la fideiussione specifica, la prova privilegiata costituita dal provvedimento che ha accertato l’intesa anticoncorrenziale per le fideiussioni omnibus e che, comunque ed in ogni caso, non può valere per le fideiussioni sottoscritte in data successiva al 2005.
In tal senso si veda Tribunale di Milano n. 7015 del 06.09.2022:
In particolare, pur tenendo conto della situazione di asimmetria informativa indubbiamente gravante sull’attore, va ribadito che nelle cause stand alone l’attore è comunque onerato quantomeno della necessità di fornire elementi anche indiziari a confermare la prosecuzione dell’intesa illecita anche successivamente al periodo accertato dall’Autorità antitrust.
Nella fattispecie in esame la prova (anche indiziaria) avrebbe dovuto incentrarsi sul fatto che gli istituti di credito operanti sul territorio nazionale avessero continuato ad applicare in maniera uniforme le medesime clausole ritenute illegittime.
Con altra recente sentenza del 4.10.2022, la Corte d’Appello di Milano ha sancito che:
E’ evidente, pertanto, che il provvedimento della Banca d’Italia faccia esplicito ed univoco riferimento esclusivamente allo schema della fideiussione caratterizzato dalla cd. clausola omnibus e non è automaticamente estensibile alle fideiussioni specifiche attesa la diversa tipologia e finalità che connota e distingue le due figure di contratto di garanzia e stante la necessità di tutelare il cliente / utente dal rischio di posizioni predominanti ed anticoncorrenziali nel caso di rilascio di garanzie aperte ed omnicomprensive cd. omnibus volte a garantire tutte le obbligazioni contratte dal debitore, presenti e future ..
Alla luce di tutti gli elementi suesposti, si ritiene di dover condividere le conclusioni raggiunte dal primo giudice atteso che:
la nullità delle clausole riportate nelle fideiussioni oggetto di causa non può dedursi automaticamente, come vorrebbero gli appellanti, dalla mera riproduzione delle clausole contenute nello schema contrattuale ABI ritenuto dalla Banca d’Italia contrarie alla normativa anticoncorrenziale, attesa la riferibilità del provvedimento 55/2005 alle fideiussioni cd. omnibus e la necessità che intervenga una pronuncia giudiziale che accerti il requisito della uniforme applicazione delle clausole in maniera indifferenziata e la sussistenza della paventata nullità anche alla fideiussione specifica rilasciata dagli appellanti…
Spesso, quindi, le cause incardinate per far valere la nullità delle fideiussioni specifiche si concludono con un rigetto della domanda proprio per il mancato assolvimento dell’onere probatorio.
Esemplificativa in tal senso è la sentenza resa dal Tribunale di Forlì in data 16.06.2022, di cui si trascrive un passaggio fondamentale:
Seppure si volesse estendere la tutela del rimedio caducatorio alle singole clausole anticoncorrenziali riprodotte nella fideiussione specifica, la parte attrice opponente avrebbe dovuto assolvere ad un onere probatorio più consistente, quantomeno dimostrando l’usuale utilizzo da un novero di istituti bancari dello stesso schema di fideiussione, che, perciò si rivela il risultato di una prassi uniforme, dunque, frutto di intese anticoncorrenziali a monte.
In altre parole, avrebbe dovuto fornire un’allegazione documentale più rigorosa e adeguata a sostenere le argomentazioni poste a fondamento della propria eccezione…
Nei medesimi termini anche la sentenza del Tribunale di Napoli – sezione specializzata d’Impresa del 24.05.2022 n.5125, che evidenzia come l’attore avrebbe dovuto, in punto di allegazione fattuale e documentale, non già affidarsi all’istruttoria della Banca d’Italia per avvalersi della sua particolare funzione probatoria, ma introdurre un’autonoma fattispecie di comportamento anticoncorrenziale o compulsare un procedimento di public enforcement in tal senso, al fine di allegare autonomi fatti idonei a censurare l’esistenza sia di un’intesa anticoncorrenziale sia di una prassi contrattuale diffusa presso gli istituti di credito violatrice, per le modalità di applicazione uniformi, dell’articolo 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287/1990, anche con riferimento agli schemi solitamente utilizzati per la stipulazione di fideiussioni ordinarie, d’accordo tra più istituti di credito e, dunque, in violazione delle regole del mercato e della concorrenza.
In conclusione, dall’esame delle sentenze sopra citate si evidenzia che non v’è una preclusione assoluta alla possibilità di ottenere un provvedimento di nullità parziale delle fideiussioni specifiche, ma che un’azione in tal senso deve essere attentamente valutata sotto il profilo dell’onere probatorio che risulta particolarmente gravoso per il fideiussore, che deve curarsi di allegare e provare la sussistenza di un accordo anticoncorrenziale tra gli istituti di credito anche per il periodo coevo alla sottoscrizione della lettera fideiussoria.