L’Euribor (acronimo di Euro Inter Bank Offered Rate) è un insieme di tassi di interesse di riferimento volti a riflettere il costo dei prestiti interbancari frequentemente utilizzati sui mercati internazionali di capitali. Esso è definito come un indice del tasso al quale i depositi interbancari a termine in euro sono offerti da una banca primaria a un’altra banca primaria all’interno dell’area euro. L’Euribor si calcola sulla media dei prezzi offerti quotidianamente da un panel, composto da una serie di banche, comunicati alla Thomson Reuters quale agente di calcolo della Federazione bancaria europea.
Nel corso del 2011 la Commissione UE ha avviato un’indagine per verificare l’esistenza di un cartello tra le Banche finalizzato a manipolare il tasso Euribor, e ciò ha permesso di accertare che nel periodo tra il 29 settembre 2005 e il 30 maggio 2008, una serie di istituti di credito avevano deliberatamente manipolato il tasso Euribor.
Il 4 dicembre 2013 è intervenuta una prima decisione della Commissione UE sulla scorta della violazione dell’art. 101 del Trattato e art. 53 (1) dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo.
Con la successiva decisione del 7 dicembre 2016, la Commissione UE ha accertato che altri istituti di credito (Crédit Agricole, HSBC e JP Morgan Chase) avevano adottato, in periodi diversi, pratiche collusive finalizzate a distorcere il normale corso dei componenti di prezzo per i derivati finanziari (EIRD).
Considerati i possibili riflessi sui mutui o finanziamenti concessi dalle banche italiane ai loro clienti, i Tribunali italiani sono stati interessati del problema, ma, in passato, le decisioni sono sempre state negative, e ciò anche in considerazione del fatto che le banche italiane che fanno parte del panel di istituti che, di fatto, determinano l’Euribor, non avevano partecipato agli accordi distorsivi della concorrenza.
Si segnalano le sentenze della Corte d’Appello di Brescia del 25.01.2023, n. 147 e della Corte d’Appello di Firenze del 11.05.2023 n.994.
Quanto alla prima pronuncia, si trascrive di seguito il passaggio fondamentale: “Con il terzo motivo parte appellante eccepisce l’indeterminatezza del calcolo delle rate variabili e la necessità di ricalcolare gli interessi secondo il tasso legato ai BOT, considerata l’applicazione di un interesse legato ad un Euribor falsificato.
Sul punto la Corte osserva come gravi su parte appellante l’onere di dimostrare che la banca abbia effettivamente partecipato all’intesa anticoncorrenziale: nel caso in esame invece parte appellante ha espressamente riconosciuto, nel proprio atto di citazione, l’estraneità dell’istituto bancario convenuto al cartello delle banche che hanno proceduto alla falsificazione dell’Euribor.
Pertanto, come osservato dal tribunale, nel caso in esame le parti hanno legittimamente concordato di pattuire il tasso di interesse prendendo come tasso di riferimento l’Euribor. Dunque, la circostanza che il tasso Euribor risulti differente da quello che si sarebbe formato in assenza di un accordo di cartello rimane un fattore estraneo all’accordo contrattuale.
Tutto quanto considerato, la Corte respinge il presente appello, cui consegue il rigetto della richiesta istruttoria formulata”.
Analogamente, la Corte d’Appello di Firenze si pronunciava in termini negativi nei confronti del mutuatario con la seguente motivazione: “Ora, calando nel caso di specie i principi suddetti è evidente come non si possa pervenire ad una declaratoria di invalidità della clausola nullità che sarebbe peraltro limitata al periodo di manipolazione del tasso avvenuto fra il 2005 e il 2008 e che dunque contrasterebbe con l’essenza della nullità quale vizio di invalidità originario del contratto posto che l’eventuale violazione della normativa antitrust comporterebbe al più una responsabilità della banca che ha partecipato al cartello anticoncorrenziale.
Detto altrimenti la previsione di un meccanismo di determinazione degli interessi basato su una quota variabile individuata in un indice finanziario affiancato da uno spread fisso è di per sé valida e legittima e tale validità non può certo essere scalfita dal comportamento posto in essere da terze banche che hanno manipolato l’indice richiamato dai contraenti ma può semmai dar luogo ad una responsabilità dell’istituto di credito, laddove sia data prova della sua partecipazione nel cartello anticoncorrenziale, prova che però nel caso di specie non è stata fornita”.
In questo panorama tutt’altro che confortante per coloro che avevano concluso contratti di mutuo e/o finanziamento nel periodo interessato dall’indagine della Commissione UE (2005-2008), è intervenuta di recente la pronuncia della Corte di Cassazione n. 34889 del 13.12.2023.
L’ordinanza in commento ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Milano in data 8.3.2022 che aveva concluso per l’insussistenza di un’intesa vietata dalla L. n. 287 del 1990 a fronte del fatto che: “.. il Banco BPM non aveva partecipato ad un’intesa manipolativa della concorrenza”.
La Suprema Corte ha evidenziato che con la L. 287/1990 (legge antitrust), il legislatore ha inteso proibire il fatto della distorsione della concorrenza che può derivare anche da comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali.
Conseguentemente, è rilevante non solo l’eventuale negozio giuridico originario che si colloca all’origine della successiva sequenza comportamentale, ma tutta la più complessiva situazione – anche successiva al negozio originario – la quale – in quanto tale – realizzi un ostacolo al gioco della concorrenza.
Per l’effetto, qualsiasi forma di distorsione della competizione di mercato, in qualunque forma essa venga posta in essere, costituisce comportamento rilevante ai fini dell’accertamento della violazione dell’art. 2 della legge antitrust.
La Corte di Cassazione conclude affermando che la decisione della Commissione UE avrebbe dovuto considerarsi prova privilegiata (Cass. 31.08.2021 n. 23655; Cass. 05.07.2019 n. 18176; Cass. 22.05.2019 n. 13846; Cass. 28.05.2014 n. 11904; Cass. 22.05.2013 n. 12551; Cass. 09.05.2012 n. 7039; Cass. 18.08.2011 n. 17362) a supporto della domanda volta alla declaratoria di nullità dei tassi “manipolati” ed alla rideterminazione degli interessi nel periodo coinvolto dalla manipolazione, a prescindere dal fatto che all’intesa illecita avesse o meno partecipato il Banco Bpm S.p.A., giacché raggiunta dal divieto di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 2 è qualunque contratto o negozio a valle che costituisca applicazione delle intese illecite concluse a monte (Cass. 12.12.2017 n. 29810).
E’ quindi intuibile che la decisione in commento non mancherà di innescare un nuovo filone di cause nei confronti del ceto bancario al fine di accertare lo scostamento tra tassi praticati in applicazione dell’Euribor (manipolato) ed il tasso legale nel periodo di riferimento.
La proposizione di azioni legali volte al recupero di eventuali indebiti dovrà essere preceduta da un’analisi contabile al fine di quantificare la somma per cui procedere, anche al fine di valutare l’effettiva convenienza delle stesse.
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