Diritto della responsabilità medica
Lo studio svolge la propria attività nel settore del risarcimento danni di natura patrimoniale e non derivante da responsabilità medica.
La responsabilità civile per danni alla salute del paziente è spesso da ricondursi a carenze strutturali ed organizzative degli enti sanitari e si fonda sulla conclusione del contratto di “spedalità” o di “assistenza sanitaria”, a fronte del quale la struttura ospedaliera si obbliga a garantire al malato, accanto alla prestazione diagnostica e terapeutica erogata anche dal medico libero professionista, un’ampia serie di prestazioni accessorie quali, per esempio, vitto e alloggio in caso di ricovero, l’assistenza infermieristica, la fornitura di medicinali, l’apprestamento delle attrezzature tecniche e degli impianti necessari all’esecuzione della prestazione medica in senso stretto.
Detta responsabilità ha natura contrattuale diretta, ai sensi dell’art. 1218 c.c., per i propri fatti d’inadempimento e indiretta, per il fatto dei propri dipendenti e di ogni altro professionista di cui si avvalga la struttura, anche se scelto dal paziente, ai sensi dell’art. 1228 c.c. e dell’art. 7 della l. n. 24/2017 (c.d. Legge Gelli – Bianco).
Nell’ambito di tale settore, si valutano azioni risarcitorie per responsabilità professionale da omesso consenso informato, da malpractice medica, da infezione nosocomiale, da errata prescrizione, da emotrasfusione ed emoderivati, da perdita di chance di cura e ritardo diagnostico.
Con riferimento alla responsabilità da omesso consenso informato è consolidato l’orientamento della Corte di Cassazione che ritiene che l’omessa acquisizione del consenso preventivo al trattamento sanitario – fuori dai casi d’urgenza e nell’ipotesi in cui il paziente non sia in grado di manifestare la propria volontà – determini la lesione in sé di un valore costituzionalmente protetto, a prescindere dalla presenza o meno di conseguenze negative sul piano della salute, dando luogo ad un danno non patrimoniale autonomamente risarcibile (cass. civ. 26 giugno 2018 n. 17022).
Nell’ipotesi in cui il paziente intenda chiedere anche il risarcimento del danno da lesione della salute che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito, ma tuttavia compiuto senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, dovrà innanzitutto allegare che egli avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato, offrendo la prova sul punto anche a mezzo presunzioni.
Il danno da perdita di chance attiene anche a quelle conseguenze pregiudizievoli derivate dall’avere privato il paziente dalla possibilità di vivere più a lungo, e ciò si verifica spesso nel caso di omissione della diagnosi di una malattia di natura oncologica il cui processo morboso avrebbe potuto essere arrestato o ritardato da cure tempestive.
Se, quindi, viene omessa la diagnosi di un processo morboso e ciò determina la tardiva esecuzione di un intervento chirurgico che normalmente sia da praticare per evitare che l’esito definitivo del processo morboso si verifichi anzitempo, e risulti inoltre che, per effetto del ritardo, sia andata perduta dal paziente la chance di conservare, durante quel decorso, una migliore qualità della vita nonché la chance di vivere alcune settimane od alcuni mesi in più, rispetto a quelli poi effettivamente vissuti, si potrà senz’altro formulare una richiesta di risarcimento del danno.
Anche in ambito sanitario, è necessario attivare un procedimento di media-conciliazione, ed in caso di esito non positivo dello stesso, sarà possibile promuovere il giudizio risarcitorio avanti il Tribunale competente nei confronti della struttura sanitaria e, se del caso, dei sanitari coinvolti.
Linee Guida, buone pratiche clinico-assistenziali e regole deontologiche
La Legge Gelli-Bianco ha confermato il ruolo delle linee guida, già introdotte con legge n. 189 del 2012 (Legge Balduzzi) e che costituiscono un insieme eterogeneo di regole di condotta.
Se la Legge Balduzzi non forniva al riguardo indicazioni precise, la riforma introdotta con Legge Gelli-Bianco ha previsto un sistema nazionale di accreditamento delle linee guida stabilendo che si debba tener conto esclusivamente delle raccomandazioni elaborate da enti/istituzioni/associazioni e società tecnico scientifiche in possesso di determinate caratteristiche ed iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministero della Salute.
Inoltre, le linee guida devono essere rese conoscibili attraverso la pubblicazione sul sito internet dell’Istituto superiore di sanità pubblica – https://snlg.iss.it – “previa verifica della conformità della metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dallo stesso Istituto, nonché dalla rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni”.
Nel caso in cui l’esercente la professione sanitaria si trovi ad operare in un ambito non regolato dalle linee guida, entrano in gioco le buone pratiche clinico-assistenziali (altrimenti definite procedure non previste dalle linee guida ma comunemente applicate e di cui sia riconosciuta la validità per esempio in testi scientifici di cui non sia contestata l’autorevolezza) che, quindi, devono essere prese in considerazione esclusivamente nel caso in cui manchino specifiche linee guida oppure qualora le linee guida non possano essere concretamente applicate al caso.
Trattasi di questione complessa che non mancherà di generare rilevanti problematiche applicative per i sanitari che dovranno decidere se il caso concreto rientri nelle linee guida o debba invece essere sottoposto alle buone pratiche clinico-assistenziali.